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14 – 28 Luglio 2025

Fear no more

  • Teatro

di Francesca Sangalli
regia Simona Gonella
Leda Kreider Virginia/Io
Maria Laura Palmeri Clarissa
Matthieu Pastore Septimus
scene e costumi Annamaria Gallo

Fear no more the heat o’ the sun / Nor the furious winter’s rages

In scena un’autrice (che è Virginia Woolf, ma che indossa anche alcune caratteristiche più contemporanee grazie all’intreccio biografico con la stessa drammaturga dello spettacolo Francesca Sangalli) si confronta con i personaggi di un suo romanzo, con la loro urgenza di esistere, con la loro capacità di riflettere e di sfidare chi li ha creati.

Clarissa e Septimus, protagonisti di Mrs. Dalloway, di cui nel 2025 ricorre il centenario e la cui struttura lo spettacolo attraversa, sono fantasmi e specchi, doppi dell’autrice, creature che sfuggono al romanzo della Woolf per chiedere pirandellianamente di essere raccontati. Mentre Virginia si interroga sulla propria esistenza come scrittrice, distratta da suoni di aerei, voci interiori e frammenti di quotidianità, incapace di trovare un inizio che la soddisfi, Clarissa e Septimus la incalzano con la loro urgenza di esistere e di raccontarsi. Da un lato Clarissa, che mentre organizza la sua festa, riflette sulla sua giovinezza e le occasioni perdute: le sue scelte saranno state le migliori che poteva prendere? La sua vita di oggi, così come la nostra, è la scelta più felice? O abbiamo avuto paura? Dall’altro Septimus, che vaga per la città, traumatizzato dalla guerra, sempre in bilico fra le sue visioni e la realtà, ossessionato dal desiderio di contenere la sua follia di fronte al mondo. Avrebbe potuto salvarsi? Curarsi? Contenersi?

Nello spettacolo si intrecciano parole di Virginia Woolf, riscritture, frammenti poetici, immagini evocative. E, sopra ogni cosa, resta l’eco di un verso, ripetuto come un mantra, come un presagio: Fear no more the heat o’ the sun / Nor the furious winter’s rages. Il verso, tratto dal Cymbeline di Shakespeare, viene ripetuto da Clarissa e Septimus per suggerire che nulla è da temere, neppure la stessa morte, inevitabile, e (forse) da abbracciare come un riparo estremo dalle difficoltà della vita.

Perché la paura stessa, forse, è l’unica cosa da cui possiamo davvero liberarci.

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